La dismorfofobia è un disturbo che consiste nella sofferenza legata al pensiero di essere brutti. Nel tempo questa paura ha un’evoluzione, e cioè diventa la convinzione di non essere abbastanza belli da non dover aver disagio. Dalla paura di una cosa si passa all’idea di essere quella cosa. Chi ha questo tipo di problema in fase avanzata di solito si presenta in questi termini “sono depresso e angosciato perché sono brutto, se fossi diverso, se fossi un “bello” certamente il problema non ci sarebbe”. Il comportamento rincorre alternatamente l’idea di migliorarsi o l’idea di correggersi o mascherarsi, ma in tutti e due i casi non c’è mai la soddisfazione per essere sufficientemente belli, se mai di essere sufficientemente meno brutti. Quel che conta è quanto la persona si percepisce lontana da una situazione di non-presentabilità estetica. In alternativa, se la persone non si ritiene brutta, è però terrorizzata dal poterci diventare, quindi da poter imbruttire, invecchiare.
La percezione nella fase finale risulta decisamente alterata, nel senso che chi si ritiene brutto finisce solamente per vedere gli altri belli, sempre più belli. Se uno pensa di avere il naso storto, vedrà gli altri nasi sempre più dritti, e tenderà a creare un “mito” di bellezza, di regolarità, di proporzione, a diventare cioè un esperto e un sostenitore del bello che non è ma a cui si vorrebbe almeno avvicinare. A volte cambiarsi i connotati sembra l’unico modo per mettersi al sicuro dalla bruttezza, e scongiurarla quando si invecchia, e così i dismorfofobici ricorrono alla chirurgia estetica che però non li soddisfa. A differenza di altri, l’obiettivo di chi ha paura della bruttezza non è un risultato, ma è un risultato che tolga la paura, e questo è un equivoco: poiché la paura non deriva da un dato obiettivo (essere brutti o belli) ma viaggia per contro proprio, nessuna bellezza, per quanto perfetta, la risolverà. Gli interventi sono spesso ripetuti, perfezionati, sovrapposti con rischio per l’integrità anatomica.
Di solito vi è una forte resistenza e irritazione quando un medico spiega loro che il disagio non deriva da una condizione estetica, ma che (senza considerare i connotati reali) la dismorfofobia rende insoddisfatti del proprio corpo, “bello” o “brutto” che si possa definire, rende storto il proprio naso, che sia storto o diritto, rende troppo grassi, che si sia grassi o magri.
Nelle forme più gravi c’è un’alterazione delle percezioni visive e propriocettive, cioè di come uno si rappresenta il proprio corpo, i propri movimenti, le proprie proporzioni, fino a un vero delirio. Ci sono ad esempio persone che affermano di avere parti del corpo sproporzionate, troppo piccole, troppo grandi, troppo gonfie, e così via, e sostengono questa tesi contro ogni logica di misurazione e di giudizio altrui. In questo stadio cioè non c’è più un senso rispetto a cosa gli altri possono dire: si è brutti, anche se gli altri dicono che non vedono il problema, il corpo è deforme anche se le misure sono normali, e così via.
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